Il calicanto


Angeli (frammenti)

fra cielo e terra
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ho sempre sentito le scapole
come una privazione d'ali
                                            Il Suo castigo orribile
                                            più di ogni altra punizione!  Ascesa     
                                            Se
avessi potuto attraversare
come un uccello lunatico
qualsiasi scontroso Oceano
                                             volteggiare sulle spume
poi protendere alle foreste ed annusare
la sua coltre umosa di secoli
                                          o calpestare
come l'aquila una cima
riducendo tutto a minuscole proporzioni
Non sazio risalire
         fiumi di vento contrario
                   precipitare poi in vertigine;
                            resterei così stordito 
                                     da entrare come in sogno 
                                              nella sua statica dimensione... 
 
 
 
angelico
 
 
 
...Ma volevo dirti una cosa 
e ora te la dico: 
                           al di là del bene e del male 
dell'abisso della notte e il fulgore del giorno 
io ho sempre avuto alla fine la mia buona stella 
-una buona stella sul mio cammino-...
 
 
 
 
 
 
 
 
 
...Abbiamo avuto occhi stanchi di troppe notti per rubare verità sui libri dei saggi; 
ma nessuno ci può veramente insegnare: di terra di mare e di vento 
è ordita la verità che ci appartiene coi flutti dei nostri pensieri 
hanno il timbro della nostra voce; l'orma dei nostri piedi che corrono o camminano 
con l'insopprimibile rimpianto di aver posseduto in qualche sogno perduto 
ali immacolate come gli angeli per solcare i cieli... 
 
Cielo e terra
 
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                                                                                                                                        
 
 
 
 
lo strumento 
 
 
Il bimbo fu rubato agli angeli
e l'aurora dell'universo
si fece coraggio
per non fuggire dai suoi occhi
e affrontare il Giorno
La puerpera sorrise
il suo sorriso unico
e usò la dolcezza più perversa
per accostarselo in grembo
facendone ovatta
Cercò alle sue mammelle 
il sapore della rugiada
e lei si sentì completamente madre
sentendole gonfie di vita
Negli occhi acquatici del bimbo
indulgevano ancora tremiti d'ali
ma già nel suo sguardo si leggeva                          l'angelo
l'assente musica del Nulla:
quel suono senza suono irripetibile
che cullava compagnia nel Lago
Per questo la madre ebbe un brivido
cosciente di quella grazia linfatica
ch'era stata anche sua un tempo
Tremò al pensiero degli anni belli
e tremò per lui; quindi se lo strinse
di più in petto quasi a proteggergli
quei cuccioli di minuti fragili e ribelli
e quel soffio d'infinito dentro gli occhi    
che sarebbero svaniti con l'età            
 
Quel suono senza suono irripetibile
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                                                       
perdutamente
 

 Davvero io non so che dire:
se egli fosse un umano
o un umano divino;
visto che fra cielo e terra
mi parve discendere con maestose ali
tanto che quando mi passò vicino
mio malgrado stetti con il capo chino...
 
 
 
 
 
 
 
Angelhi
 
 

Signore
la cenere degli anni mi sommerge 
aspettando la pioggia della primavera 
Per ora trattengo in gola l’arsura
e ricorro al tempo in cui fui albero fiorito 
per salvarmi
                     Canto le cose antiche
che la memoria conserva
ma attendo la tua sferza d’acqua 
che strappi la mia vecchia buccia 
Cercherò il rigoglio verso i cieli
e respirando nella mia nuova vita 
lascerò cadere infine senza rimpianto
ogni piccola storia che ogni mia foglia racchiuderà

Della sua metamorfosi
ti stupirà in eterno il bruco
e quale forza divina quale abisso muto
lo trasmuti
Ti domanderai se del suo primo aspetto
ne fosse più incosciente e sereno
A volte così anche voi
Ma il cerchio di fuoco attraversato
divenuti farfalla vi consoli
che se dopo un po’ più tristi dentro
pure più saggi e belli dentro e fuori
il vostro vicino vi trovi

Ho un piccolo dolore piccola mia
un dolore che sgretola le rive:
dovrò dirti addio e confermarti
che se spesso le speranze si avverano
dei miracoli non so dirti

Ho un piccolo dolore bimba mia
— almeno aspetto che il tempo così lo riduca —;
quando aprirò la bocca sarà pari al tuo
Se riuscissi a non odiarmi se evitassi l’insulto
potresti sederti ancora sulle mie ginocchia
e salvarci un po’ insieme prima di offrirci le spalle

Ho un piccolo dolore bimba mia
Non spaventarti — io già lo sono —
ma non voglio che ti spaventi quando te lo dirò:
tu cullavi un grande amore
io curavo un bene immenso
ma essi non navigano lo stesso mare;
così impronte su diverse derive
rivelano uno stesso strazio

Questa casa mi accolse come un figlio:
si spezzò il pane e dosarono le alchimie delle fiale
contro la mia mente nel frastuono delle correnti
Ebbero compassione e forse paura
per il mio sguardo di uccello folle
ma lasciarono che io vagassi confuso di perdipensieri
negli angoli più sacri della loro dimora
Ma questa casa non è la mia casa
sebbene qualcuna mi chiede di restare
Non ti sembri crudele e se vuoi la ragione
chiedilo alla inamovibile saggezza di queste pietre
Ti diranno che la mia anima è stata conquistata
e ringraziando si genuflette
Però a queste logiche il cuore trascende

La donna lo salutò
incrociandolo lungo il viale
— Buongiorno maestro!
— Buongiorno a te che vidi bambina
e ora sei già donna con accanto un’adolescente
La figlia guardandolo con viso diritto
e lo sguardo scintillante lo sfidò
— Che differenza passa fra una donna e un’adolescente?
— Ora sei presso l’uscio del tuo giardino incantato
che hai vissuto corrotta candidamente
Più il riso ha increspato le tue labbra
che non le lacrime del tempo
perché la cima dovevi raggiungere
non la radice;
sei stata l’esplosione dei fiori
incosciente di offrire profumo
e il gioco è stato il tuo fermaglio
La coscienza ricorda affina l’anima mentre la torce
così sarai donna quando conoscendo il dolore
passerai nel dolore degli altri
e vedrai l’inconsapevole gesto
richiudere l’uscio
Ti servirà allora
questo giardino di luci verde come la tua voce
come l’isola di ogni stanchezza per ripartire ristorata
— Maestro vi potrà capire? Ma io che ho afferrato qualche cosa
non ho isola dove tornare giacché la mia infanzia fu segnata
da una terribile malinconia
— Da allora il tuo viso è più sereno
e questo lieve abbraccio per tua figlia
è il suo mantello migliore
Tu che non puoi virare di prua
guardare sempre in faccia il futuro è stato il tuo destino:
l’ieri non ti limita non ti angustia il domani;
nel giorno come foglie raccogli la rugiada
e riponi in uno scrigno ogni suo dono
— Maestro mi girate la frittata!
Ma l’altro concluse accarezzando l’orizzonte
— La vita nasconde invisibili steccati ma non ha confini:
dobbiamo superare gli ostacoli e imparare a guardarla ogni volta
da punti diversi

Ho conosciuto un uomo
che nel suo piccolo orto divenne saggio
Chino fra onde di terra e d’erba
il nostro passo inatteso non lo turbò
Ci venne incontro con la faccia cortese della vita
indicandoci appagato la sorgente
i frutti tintinnanti fra i filari
e la magica pianta del fico dagli umori mielosi
Sotto fronde di vento la sua voce si confondeva
col ruscello dalle mille bocche e altre voci
e quante verità baluginavano come riflessi
che solo il tempo avrebbe rivelato
a un senzatempo inquieto

Chissà se hai raggiunto il tuo dolce uomo
madre di figli mai nati
che mettevi in fila nelle carrozzelle
e lisciavi i capelli affioccavi i nastri
sgridavi e vezzeggiavi: bambole mute begli occhi fissi
respiranti dei tuoi pensieri
più bambini dei bambini veri col loro nome

Il suo cuore divenne un tubero disseccato 
e costole come canne dove il vento 
non passava mai
                         Prima delle radio
il canto era comunanza per molti uomini 
e felicità e fermento 
ma questo non lo fu più per lui
forse da dopo la guerra: pane con troppo fiele 
in una terra priva di sale 
Ora che sull’Eterna Soglia cammina 
ignorandone la reale distanza 
ogni mattina canta con parole antiche 
le afflizioni quotidiane della moltitudine 
e nel tono della voce
la bellezza di Dio che si discioglie; 
quella eterna che si rinnova; 
lo scorrere esausto degli orologi 
e la nitidezza degli eventi
che forse avrebbe potuto sovvertire 
con qualche audace colpo di mano
                                                          La sera
si aggruma sulle sopraciglia nell’attesa di un nuovo giorno: 
qualcuno rimane stupito
della sua bella voce

Mentre il mondo si raccoglie
socchiudi il tuo fascio di pensieri;
cammini a quest’ora nell’ansa del tuo giardino
come di solito fai e i fiori ti fanno corona:
sono le tue buone intenzioni la seta sfavillante dei tuoi sogni 
le piume vive che belle dita hanno curato

                                               Quieta, sorella

Avresti mai detto allora
che gli anni passano così veloci
e che il principe dei tuoi fotoromanzi 
— ahi; l’ilarità di un conte! —
è ora un avvocato un architetto o un cantante? 
Hanno avuto così poca cura allora 
così poco tempo tu per un buon libro 
Metà donna metà bambina 
vedo che stai facendo i tuoi conti col mondo

                                               Calma, sorella

Il tuo sguardo di uccello
uccello di rovo; sguardo di rapina: 
un uccello contro il firmamento
Potrà mai estasiarti di meno anche se lo calpesta l’uomo? 
È la sua sconfinatezza che ti rende fragile
e mentre ti si stringe così forte il petto 
forse non sai
che di una stella lontana 
vivi la stessa agonia

                                            Tranquilla, sorella

Il vento spira; fredda sera:
la gente cammina di fretta come fosse più sola 
Disperde le risate il vento
trascina le rare foglie in questo mese 
di desiderio e d’attesa
Hai cinto le spalle col tuo antico scialle; 
attraversi di fretta il giardino: 
nel caldo della cucina
vorrei trovassi un’intima mano che ti cingesse

                                                  Serena, sorella

La tavola è apparecchiata
ma la cena è stata veloce:
forse questa sarà la notte che brucerà di più 
Allontana la fatica dalla fronte 
non guardare sotto il letto
non dischiudere l’armadio:
ogni paura striscia dentro noi
Un giorno parleremo ci racconteremo 
senza vederne la fine
ma soprattutto i sogni perché è così difficile trovare 
della gente che sappia davvero ancora sognare
                                   Dormi sorella; non sola:
                                   riposa nel mio bene

Quello che ci lega
sono fiori di carne
ai margini della nostra via
Tu crescendo risplendono di nuova luce
come se un’immacolata aurora punti coi suoi raggi un dito
cantandoti le segrete ragioni per riannodare gli antichi fili

Il calicanto
è il fiore del sangue ma col profumo 
che nell’anima ha le sue vene
e il colore è impronunciabile
                                          Nel mese tignoso
chiunque s’impigli nella sua inestricabile rete 
è una coppa di riflessi dove in effige
sono tracciate le linee passate della nostra esistenza
e in ombra sostano
i volti degli amati i nemici che non avremmo voluto 
il futuro ignoto la gioia incosciente
e le cantiche di povertà che i vecchi narravano 
a ragazzini di ieri
Fiori schivi
pallidi astri
lusinghe che effondete dagli orti:
tutto questo nel cuore a carillon lo avete sigillato
e la molla che l’avvia è il vostro profumo

Ulisse dal cuore navigante
una certezza tu l’avevi in petto 
come la tua spada al fianco
e nella memoria come bronzo fuso
un viso e un suolo di roccia e sterpi 
dove saresti ritornato un giorno
Più mi avvicino e più mi sento straniero
e gli incomprensibili relitti sul mare rutilante 
sono i miei fantocci
Ma non è la mia debolezza o la tua forza che voglio cantare
— lei che di un Omero non avrà privilegio —
con brandelli di parole eterno su questo bagnasciuga
fra colli roventi e le ferite dei monti che ardono di fuoco
una donna umile come la spiga come la pozza di forra preziosa 
che gonfia di parole e gravida come un amoroso fiume 
sigilla la bocca e attende
con una domanda dolorosa 
fra le ciglia
                Nel mio pellegrinaggio
al centro degli eventi sono un cane disperso
e solo la potenza dell’amore che regge lei mi guida
e regge me indifferente e opaco come fosse il mio bastone

Re della vallata
dal cuore che sfida i venti
con archi di piuma
lui che allora giocava
al grande cacciatore
mai avrebbe osato turbare
neppure con un immaginario fucile
la sua spirale ascendente
verso il nido di rocce artiglianti
fra rive d’azzurro
                                  E lo spiava
a lungo lungamente attendendo lo scocco:
oh la sciabolata del suo corpo picchiante
e la sua forza d’urto sulla preda!
Volontà e bellezza ammonivano quei giorni

Ora che ferito egli cammina
fra strade in cui non sa chi sia cacciatore o preda
nell’abbandono alla sera di sonni madidi e tremanti
lo sogna spesso fremente come un dio
dall’ala spezzata e il petto sanguinante
che tenta e ritenta nel volo verso coste perdute
col suo grido scagliato contro i cieli
a incatenare ancora con lo sguardo
la fissità dei soli

In questa gola di radici
il tempo racconta del tempo e di noi
Madide di profumi erbe aspre
e una mano d’acqua fra le rocce
duetta con la voce del vento
— che le accarezza come un amante i capelli —
di quando fu la vertigine del falco
la sillaba inespressa di noi
e l’enigma di chi dopo di noi sarà
Ma io che ferito sono tornato
al tuo seno vizzo
al tuo sentiero di selce
fra queste rocce senza fioritura
se non nel cuore come Spine Di Gesù
voi che foste già del Vecchio Testamento
ma mute rudi ostinate
delle stesse ferite voglio ferirvi
con spine di parole

Legata dal mare per ognidove
eppure conobbi per lungo tempo
soltanto la verde asperità dei monti
le febbri di sole e i piccoli fiori rari
nell’asprigna dolcezza delle selve

Malato d’azzurro
prigioniero di lontananze
volli provare l’albero della conoscenza

Avessi avuto una casa sul mare
— l’avessi almeno conosciuto meglio —
avrei saputo prima della canzone del marinaio
che con la bocca canta la partenza
ma con nel cuore già il ritorno
e che la vita è la scia
sull’acqua della propria nave
e ogni ramo è alto quanto è profondo il fondo

Tre decenni e voltai di prua
verso l’isola perduta
Prima o poi arriva l’ora
in cui vorrai conoscere un bilancio:
“il profitto e la perdita”
Ho cercato un’ansa un porto una città:
tutto si è perso con la canzone
degli amici che ho fuggito
Non basterebbero intere notti per raccontarti;
riso e lacrime ci confonderebbero quanto il vino
Ma se ritorno è perché non mi sono fermato
e ho letto da qualche parte:
non valutare un uomo che è ancora in cammino
E sono tornato seppure con gambe molli
E ripartito con una stracciata bandiera:
ho dilazionato con altro tempo
l’ansia del conto da tracciare in rosso

Chissà perché adesso
vorrei di mare:
una voce ascoltata
molto spesso con indifferenza
Tranne come quella volta
che seguii dallo scoglio
l’emblema di una strada d’oro
tranquilla verso la luce cadente

Ho desiderio di celeste
come i ricordi dell’infanzia 
che si agitano su una radura; 
celeste come un brano d’organo 
che mi sorprese in una vuota chiesa 
celeste come i quadri di Chagall
Ho desiderio di celeste come di divino
un brivido interiore che scuote ogni bruma 
e il pulsare è leggero quanto il respiro
Celeste come una preghiera che dicevo con convinzione 
Celeste come gli occhi di un mio amico 
Celeste come una lontananza perduta 
come una sofferenza compresa 
Celeste come un simbolo di carta 
che contenga una verità
                       Ho desiderio 
malato di celeste
come uno sguardo di comprensione un abbraccio struggente 
Ho desiderio di celeste in questa città di rumore; 
in queste strade di mota nel frastuono delle parole 
senza che una sola vera parola venga detta 
Ho bisogno di celeste in questa città come il mio cuore

Quando inchioderò sul foglio
le 5 lettere come fredda brace
riempendone diari e diari
senza che ogni mio dito mi stia lì a tremare
non ti avrò vinta ma ti avrò accettata
e proprio allora mi ridistrarrà la vita

Ho salutato per qualche mese il mio amore
e il tempo ha lavorato perché lo perdessi per sempre 
li mio più caro amico vive a pochi Km di distanza; 
ogni domenica dovrei andare a trovarlo 
ma non sono ancora partito 
Ho sempre cercato di prendere il treno da solo
e a qualcuno in un gioco antico ho sventolato il fazzoletto 
Nascondo in un mio angolo remoto 
un distacco inestinguibile come un’arsura di fuoco 
Ho donato mazzi di bugie in rose d’arrivederci
e qualcuna ha cambiato strada facendo finta di non vedermi 
Qualcuno crudelmente ci è stato sottratto 
o puranche si è sottratto e altrettanto crudelmente 
ho fatto anch’io
                       Ma treno aereo nave 
macchina e qualunque altro movimento 
meccanico del fato o del cuore 
non ci stava che lentamente preparando 
al ben più lungo veramente lungo 
addio

Se le anime fossero nude
quanto vedremmo oltre ogni volto che con dovizia nasconde:
ciò che fiorisce prima della nascita del primo sorriso

Se le anime nude mostrassero
gli estenuanti solchi nella valle dei cuori
sulla distesa della vita!
                                 Questo retaggio
al di là del corpo che simula felicità ad ogni costo
forse ci atterrirebbe
                              Oppure ci conforterebbe
scoprire ognuno col suo ingrato puntaspilli
e caduto l’inganno in molti accorderemmo il passo
col nostro vicino
                         E ci consolerebbe di qualcuno
la volontà sulle cicatrici fatte racchiudere su semi già in germoglio

Quante sono le forme del dolore?

Prima la croce simbolo del martirio;
l’inumana sofferenza e una preghiera che ancora sale
contro un cielo senza risposta?

Quante sono le forme del dolore?

Lo schianto che atterrisce la pelle;
la carne dilaniata dal boato
vedere le membra lontane da noi?

Quante sono le forme del dolore?

L’anima intabarrata a lutto; il figlio disperso;
il congiunto trovato senza respiro; la cieca vendetta
o il capo reclino di uno ormai fantoccio?

Quante sono le forme del dolore?

La dispersione dentro; il mutismo o l’abulia
Il viso estraneo della vita e ogni decisione sbagliata
che ce ne allontana?

Quante sono le forme del dolore?

Molte: tante quanto i volti degli uomini
Ma conosciute che siano ogni medaglia ha il suo rovescio:

quante sono le forme della speranza?

Rientrano nei miei anni
gli spasmi dell’Era
Potessi essere per una volta Creso
affitterei già anch’io poltrone in prima fila
per ruote di danze viennesi
desuete nel tempo trasmutato
Ci saranno arcobaleni notturni di piretro
Dorate baldorie nell’orgia del secolo feroce
Qualche scarlatto inquietante fiore
di chi non reggerà l’attesa
Ma già il 2001 sarà un’altra cosa
e lo scettico forse crederà l’anno seguente
nel cosmo fluttuante nell’Acquario:
saremo più mansueti ameremo meglio
e le risate dei nipoti ci travolgeranno
“Mille e non più Mille” sarà una nuova congettura
a cui astrologhi sociologhi novelli e sibille futuriste
metteranno una toppa

Quale folle babele si agita dietro gli occhi?
Quale sipario la cela?
Quale mano lo solleva o turbine lo lacera?
                                 Eri sulla tua strada
e li hai incontrati a una disseccata fontana
i tuoi molteplici Io
Ognuno col suo fardello;
ognuno con le sue speranze:
tutti dentro un mondo di fuliggine e ferro
Non agitarti
                   non agitatevi
                                       non abbiate paura:
sputate contro ogni loro occhio malevolo
Nel più profondo recesso
ci siete veramente voi con i vostri credo più puri:
difendeteli anche se costeranno convulse spume
Solo così crollerà la torre
non colpita ancora da un dio ma da un vostro fiero lampo
con tutti i vostri Io che si tendono la mano
in armonia o contro il mondo

La pioggia arrivò così violenta
che le vertebre delle cose gemettero come canne
Una parte di essa cadde con così fragore
Che na bestemmia si levò verso quel dio
che ancora lo trattava come una biglia che rotola

E parte ne cadde in un intrico di serpi
che rotti gli argini dilagarono nella pianura
Ma dopo il terrore della prima fuga
un uomo sfidò nell’iride il pericolo
e indagò un insegnamento

Ci fu parte che cadde nel recinto d’oro
predisposto dagli angeli: fecero un segno di croce
e si offrirono con tutta la grazia che può la sofferenza
sebbene con l’urlo della corrente in gola

E ce n’è uno che in altri tempi
fra tutta questa moltitudine
non avrebbe avuto parte fra le parti
Riconquistata la lucidità dei destini salta fra le pozze
e tenendo fermo il braccio e saldo il piede
verso nuvole incuranti
irride la vita e la morte
perché adesso ne ha piena coscienza

Un angelo intriso di peccato
non più dell’Empìreo né aureolato e senz’ali 
inaspettatamente ti potrà apparire 
nel vestito più comune degli uomini
                                      Solo gli occhi
lo definiscono le pupille che attraversano 
attendendo da te un cenno 
Non siede alla destra di nessun Padre 
ma alla tavola dell’amore 
e sa
quanto gli uomini ne abbisognano; 
e quanto i demoni nei loro abissi 
abbiano così intricate forme 
e la violenza che nessun inferno 
riesce a contenere
                           Siede con disinvoltura
sul bordo e il cerchio dei folli 
non più in cielo
ma direttamente nel golgota di ogni anima: 
tende reti affinché logori cuori dai nervi fragili 
possano impigliarsi e tocca ferite incolori 
crudeli quanto il sangue 
Sul sentiero delle ombre 
lui così schivo della luce 
è un oscuro scrivano che vorrebbe urlarlo 
con la forza del vento la volontà della bufera 
quanta ne spanda la sua scia 
luminosa di bene

Bene sono arrivato che vedo i ragazzini
progredire con un cervello inquietante;
ancora giovane faccio per loro discorsi di vecchio: 
ogni cinque anni è già un’altra generazione
Li vedo giocare li guardo correre li osservo crescere 
con un bagaglio di conoscenze orizzontali; 
il computer è un loro alleato
                         Personalmente sono arrivato 
a spegnere il televisore a ignorare la radio 
e a spulciare appena qualche giornale 
oltre la cortina quotidiana 
degli ammazzamenti
Le Navette vanno e vengono con disinvoltura 
senza che io e alcuno ne prendiamo eccessiva nota 
La superficie della conoscenza 
sono milioni di dati messi in fila 
È venuto il tempo della sapienza: 
la conoscenza nella profondità 
Quale maestro mi aiuterà a trovarla?

Ti dirò che per valli e campi
il gallo canta ancora
richiamando alla memoria
un’immutabile eco

L’uomo della foresta africana
ha guardato perplesso gli orologi
mentre l’uomo nella navetta ci sta parlando
come animali che rimangono troppo indietro

Il mutamento: che terra dura da attraversare;
stecco di una ferita nella carne del cuore

Alla foce del futuro
si riversano gli affluenti:
le molteplici correnti che confondono l’uomo 
Usiamo tutta la nostra scienza sbrigliamo la coscienza
il coltello della vasta conoscenza adoperiamo
per sezionare vagliare conformare ‘
per dirigerci più serenamente
al periglioso mare:
ognuno ipotizza un proprio credo
                          Senza fede Signore
stiamo fluttuando come semi di soffioni 
verso una terra cosmica
Le tue parole d’uranio sommuovono ancora 
e lungo le strade qualche uomo disattento 
ne rimane folgorato
Vorremmo essere fra quelli che credono senza aver visto
ma sei così lontano ed è il suono della tua voce 
che ci conforterebbe;
così i dubbi di Tommaso 
avviluppano l’Era

E’ il dominio delle cattedrali
sul piccolo uomo
che si inginocchia e prega
La Storia non si potrà cambiare
ma ogni angolo nicchiato è prediletto 
da secoli di lapidali rappresentazioni
e ogni fiore sposa la cera della nostra esistenza
Confondendo la fine con il fine oppressi dalla nostra stessa morte
abbiamo dimenticato la sua e ogni nostra Resurrezione 
Così dagli archi ci affligge la poca luce 
che nelle parole egli profuse 
in uno scintillio di secoli
e neri come corvi invernali 
passano coloro che furono 
in vesti di lino chiare 
laggiù in Galilea
                         Luce
                                  Acqua
                                            Riva
                                                    Sorgente
Questo voleva essere e non questa cupa palude di simboli

“to share my room in the house
not right in the head”
D. Thomas

 

Cosa posso maledire adesso
dell’uncino conficcato in cuore 
proprio dove potrete trovare
la stanza sbagliata della mia testa 
L’ho usata come un ripostiglio
un angolo dove gettare gli ingombri della vita 
(Vedi anche tu due ombre aggirarsi furtive?) 
Prima di crescere e crescendo
non usare il nascondiglio non costruirti una botola 
dove occultare alla rinfusa ogni violenza sbagliata 
ogni censura netta
                                  E i feticci dell’infanzia
tenuti in bell’ordine non dovresti venerarli troppo 
dimenticando i giorni che ti stanno davanti: 
diventerà una trappola la culla 
e la stanza si gonfierà fino a riempire 
l’intera casa della tua testa
(Ehi! Vedi quelle due ombre? Bisbigliano e pare 
che mi facciano cenno)

Mai aprire quell’armadio:
vi ho rinchiuso chiodi e crocefissi 
graticole per santi e vecchie impurità
e processioni che inneggiavano alla vita 
ma vestivano neri sudari
                   Dio o non Dio
sto dissolvendomi in finissima polvere 
Ho dimenticato le finestre aperte
e le gelide raffiche hanno fatto un buon lavoro 
nella stanza sbagliata della casa nella mia testa 
Chiamate un Fabbro ho perso le chiavi della porta;
sono entrato in qualche modo e non so più come uscirne!

Qualcuno mi aiuti; ho la strozza nella gola: 
c’è troppo incenso e troppa cera 
e un quadro dalla cornice nera 
mi violenta con lo sguardo
                                       Urlate al Fabbro!
Che faccia cadere i ceppi che spezzi le catene 
E tenete lontane da me quelle dannate ombre 
che troppi anni l’hanno fatta da padroni 
senza aiuto senza misericordia
nella stanza della casa sbagliata nella mia testa

Non più tempo per le ipotesi i se e i ma
quando arriva il momento del “correre incontro”:
viaggio su un ottovolante a folle velocità
come un bambino cieco
Accentua le forme l’oscurità delinea i contorni
e non potrò distrarmi
mentre la furia ventosa del “correre incontro”
mi schiaffeggia

Tutte le icone i santi la crudezza delle chiese
hanno una luce stagnante che allora vincevo
con l’arte dell’età
e sul finire della sera il sogno della mia morte
— noi bocche di lupo fra lunghi e alti corridoi –
mai narrata mai svelata accettata mai
non poteva appartenermi
Le malattie erano incidenti circoscritti:
il dolore sulla superficie come pioggia leggera

Chi l’avrebbe mai detto che a questo giro di boa
mi sarei perduto in un covo di significati
e che querce come giganti
sarebbero state scosse nelle fibre di ogni vena
Così salutando gli amici
fra inconsapevoli gesti di rimescolare le carte
o un cambio improvviso di binari
per confondere chissà quale destino
volevo essere diaspora fra loro

Ho diviso spesso letti e qualche volta
l’amore con dolcezza ha messo lacci di seta ai polsi
Ma in questo “correre incontro” erano catene quelle che vedevo
e la vita spicciola di troppe persone
Trascendendo fra me e me probabili percorsi
conservavo in tasca facili addii
con la voglia che mordeva di incalzare il tempo

Ora il tempo incalza noi lacerando in profondo anima e carne
e in questo “correre incontro” in fondo mi sono un po’ fermato
Seppure scagliato velocemente dovrò affrontare molti perché
o frantumarmi contro uno specchio che mi sta deformando
Chiudo gli occhi per riflettermi più giusto nella memoria:
là sono quel che ero
qui sento che non sono
Dovrò afferrare il timone di questo “correre incontro”
Mi hanno detto ch’è una questione
di diventare finalmente uomo